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«Alla nascita d’un bimbo il mondo non è mai pronto», Riflessioni sul Natale

  • natanastasi
  • 25 dic 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Proprio queste sono le parole che scriveva Wislawa Szymborska, la poetessa premio Nobel polacca. Delle parole che fanno meditare sul senso del Natale, che è proprio questo: aiutare i bisognosi in umiltà e carità di spirito.

Perché chi ha di più e vive nell'agiatezza economica, per fortuna e non per merito e/o diritto di nascita ricordiamocelo, deve donare e privarsi di qualcosa -che spesso per noi è superflua, fra l'altro- affinché possa migliorare qualitativamente l'esistenza di qualcun altro, con senso di responsabilità e non un donare inutile o dannoso per chi lo riceve. Per l'Altro un gesto, un dono, una parola, rappresentano una luce di speranza e salvezza, assolutamente essenziale per i suoi bisogni primari. Ognuno di noi può fare come i Re Magi, ma non come si fa un atto di volontà, ma secondo una profonda consapevolezza del dovere e della necessità del suo impegno, insostituibile. Aggiungerei: la vera bontà di cuore appartiene a chi, pur non avendo, dà. A chi dona ciò che è sconveniente per lui, non ciò che è conveniente. Appartiene all'assetato, non al dissetato. Appartiene all'affamato, non al sazio. Appartiene chi si priva del bicchiere per dar da bere a chi è al suo fianco. Senza giustificarsi per la sua condizione di miseria. Perché togliere al superfluo vien bene a tutti e lava le coscienze, mentre è togliere all'essenziale che a molti risulta difficile, eppure, c'è chi lo fa.

E' un messaggio rivolto a tutti, e non solo a chi si reputa cristiano, o crede di aver fede in Dio (e anche là, a prescindere di quale Dio si parli). Il tutto a prescindere se lo sia davvero oppure ne sia convinto senza esserlo nella fede, nei gesti, nei pensieri, nella visione della realtà, e nelle opere.

E' un imprescindibile dovere etico, che deve essere slegato da qualsivoglia logica di appartenenza religiosa e politica. Il messaggio di Cristo d'altronde non è rivolto ai cristiani, a quelli che ci credono insomma, che dovrebbero comportarsi in coerenza con il Vangelo perché vanno in chiesa, ma all'essere umano.

D'altronde non esistevano mica cristiani e cattolici al tempo di Cristo, e nemmeno lui volle fondare un nuovo movimento religioso, come tanti purtroppo, oggi, vogliono fare, generando carnascialeschi neopaganesimi.

Gesù parlava senza differenza di sorta a tutti, con maggior severità e critica puntuale proprio verso coloro che erano i sacerdoti, verso i farisei, verso quelli che insomma credevano in un loro Dio, a modo loro, un idolo. Gesù Cristo ha aspramente criticato non gli atei, ma proprio l'ateismo degli idolatri credenti: non c'è di peggio che credere in un "Dio-idolo" e la storia ce lo insegna. Cristo fu condannato proprio da loro, dalla loro durezza di cuore, dalla loro assenza di carità, di umiltà profonda e di discernimento del reale, non fu ucciso per volontà dei pagani romani, come dimostrano le parole Ponzio Pilato, e dagli atei. E fra l'altro, Gesù non andò a dire in giro di essere cristiano, per darsi un titolo e un'identità, ostentando la sua fede - difatti era ebreo semmai- ma si comportava da persona che aveva una spiritualità profonda che per questo ha lasciato un segno indelebile nella storia dell'umanità, un segno immortale per la forza del suo messaggio e che tutt'ora vive e crea scandalo. Quindi se non sappiamo vedere l'umanità profonda di Gesù Cristo, lo stiamo idolatrando e divinizzando come un'entità astratta. Ogni essere vivente è un Cristo, un figlio di Dio, e la rivoluzione di Gesù è stata proprio l'annunziare questo rapporto familiare con il divino. Un qualcosa di assurdo e inaccettabile ancora tutt'oggi. Gesù Cristo non è una statua, una raffigurazione, un crocifisso appeso sul muro: quelle sono immagini. Cristo siamo noi e dobbiamo imparare a vedere in quest'ottica nuova. Chi non vede in se stesso ed in tutte le persone il volto di Cristo, non ha capito nulla della spiritualità cristiana.

Quindi che questo Natale possa essere un'occasione per tutti per riflettere e problematizzare la propria -presunta- religiosità, o spiritualità che dir si voglia, per purificarla da tutti gli elementi che la rendono così greve, collusa col male e con le diseguaglianze, coi giudizi, coi moralismi, e la corruzione del cuore ad ogni sorta di dissolutezza, indifferente alle sofferenze del prossimo, per iniziare seriamente un percorso di conversione verso la realtà, la concretezza e la spiritualità vera. A prescindere dall'essere atei, agnostici, o credenti, o tutt'e tre insieme(!). Riscopriamo quindi la nostra vita alla luce di questo evento chiarificatore, per essere solidali, ascoltatori, dialoganti e accoglienti quindi anche verso la propria interiorità.

Il Natale non è la festa dei cattolici, ma il simbolo della sacralità e la divinizzazione della solidarietà e dell'accoglienza, il giorno in cui finalmente si è riuscito a vedere Dio in una situazione assolutamente dissonante dai templi e dai luoghi di culto tradizionali, appunto in un neonato, perseguitato e odiato ancora prima di nascere, figlio di migranti poveri e sventurati, partorito da una ragazzina adolescente al freddo ed al gelo, in una stalla.

Una nascita scandalosa proprio perché svela la cecità dello sguardo contemporaneo dell'epoca verso "Dio" nella sua inautenticità, in quanto inflazionato e direzionato verso un dio troppo distante, troppo trascendente da essere anche solo nominato e quindi troppo incomprensibile, una divinità che non usciva oltre le mura del tempio, perché esclusivo copyright dei ricchi e dei potenti ebrei. Un dio al quale prestare venerazione, che incuteva terrore, e una visione a compartimenti stagni, per mettersi nei primi posti delle sinagoghe, per stare nei centri di potere, a propria immagine e somiglianza nell'accezione sbagliata, per usare questo dio come un genio della lampada, realizzatore di sogni e e desideri, compensatore di disagi dell'anima e sostegno psicologico, come spiegazione dei primigeni "perché?" esistenziali, ai quali non si sa e non si vuol rispondere. Esattamente come oggi accade nella nostra quotidianità.

Ma proprio con quella nascita e attraverso di essa si è ritornato a vedere Dio dov'è realmente, e dov'è sempre stato, sostegno degli umili e degli oppressi, che non libera dalle sofferenze della vita, ma che sa dare ristoro proprio nella croce in cui ognuno di noi sta. Il miracolo è tutto lì: risurrezione in ciò che invece sarebbe stata una vita nella morte.

E' doveroso imparare ad essere solidali con il prossimo -chiunque esso sia- in ogni circostanza della nostra esistenza, non soltanto con chi ci fa simpatia e con le persone a cui teniamo. Anche se pure con loro non è così ovvio e scontato esserlo: anche questo deve essere un impegno costante.

Questo è l'esempio -scomodo perché autentico e concreto- di Cristo. Il Natale non è lo shopping compulsivo, i pasti pro-obesità da guinness dei primati, l'ipocrisia del "volemose bene", i regali, l'eleganza modaiola, e le appariscenti dimostrazioni di una religiosità sfarzosa, inesistente, e per nulla spirituale. Il Natale si vive nel presepe vivente, in cui chi non sta nella logica della stalla, della barca, della strada, nel quartiere a rischio, ne sta evidentemente fuori. Se il Natale non crea scandalo, se non scuote le certezze, le fondamenta, se non riprogramma l'esistenza, se non qualifica le relazioni, allora è una festività mondana ed un rito vuoto.

(ph. S. McCurry)

Natale Anastasi


 
 
 

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