Sulla comunicazione contemporanea: il linguaggio della sincerità ed il determinismo delle verità inc
- natanastasi
- 26 mag 2019
- Tempo di lettura: 4 min

Ho voluto proporre in queste brevi righe un'interpretazione personale in chiave filosofica di una delle forme in cui agisce il totalitarismo del ventunesimo secolo: "il linguaggio della sincerità". Ma a premessa del discorso, non sarà un'apologia di determinate verità particolari, dal punto di vista spirituale e materiale, ma soltanto una decostruzione dei concetti. Essere sinceri non vuol dire comunicare secondo verità: questi due concetti, che alle volte possono essere in accordo, o in contrasto, non sono di certo sinonimi. Perché mai? Per via dell'assemblaggio più o meno voluto dalla vulgata popolare che ce li ha resi a priori equiparabili e sostituibili, non solo questi termini hanno perso il loro significato etimologico derivante dalle rispettive origini linguistiche, e quindi la loro identità, ma si è anche fatto tabula rasa di quali siano i fenomeni che li descrivano, in virtù di una percezione personale creata dal soggetto interpretante. Proprio perché oggi ad imperare è una logica relativistica sul piano del linguaggio filosofico, che ha determinato il nichilismo da un parte, ed il totalitarismo dall'altra di un linguaggio autoritario che de facto ha estinto le espressioni dialogiche, essenziali per una comunicazione non manipolatoria.
Oggi non è possibile affermare Verità, ma solo opinioni che in quanto tali si distribuiscono su uno stesso piano (vedi la risurrezione del nazifascismo su scala mondiale).
Verità e menzogna sono apparenze di una realtà recepita solo attraverso i sensi del soggetto interpretante, per questo la sincerità ha sostituito la comunicazione secondo spirito di verità, tema forte della cristianità. Per sincerità quindi è possibile intendere una comunicazione diretta, nella quale si enfatizza e si esprime solo ciò che si crede di pensare consciamente, usando come rafforzativi di verità il paraverbale ed il linguaggio del corpo. Quindi la verità ha perso oggi uno statuto contenutistico, ma si basa sull'abilità retorica del saper calibrare il tono della voce e il modo in cui usare una gesticolazione manipolatoria. Il tutto può avvenire "in buona fede", secondo una logica persuasiva "a fin di bene", ma il retroterra resta sempre di stampo manipolatorio, nel quale vince il postulato teorico meglio espresso, perché più convincente. La comunicazione dunque in maniera diretta ha identificato e dunque sostituito la comunicazione veritiera, generando come effetto domino delle relazioni umane fortemente incentrate sull'ipocrisia, sulla mancanza di ascolto, sul parlarsi addosso e sul giudizio, nonché sull'evitamento delle discussioni. Oggi infatti si ha una crisi generale dei rapporti interpersonali, sia su una sfera amorosa che amicale, perché piuttosto che discutere e gestire le divergenze, si vive o nell'ipocrisia, celando il proprio modo di pensare per non attivare attriti che favorirebbero eventuali e dolorose separazioni, o nell'ira, in cui più che discutere si arriva solo al litigio sterile ed alle critiche ad personam. Tipico di questi tempi beffardi è proprio allontanarsi quando si percepisce che l'Altro non vede il Mondo e non pensa alla nostra maniera. E' una forma di tradimento delle proprie ideologie, e delle proprie illusioni sull'immagine che il soggetto ha creato di chi gli sta attorno. La comunicazione pertanto bypassa il concetto di verità, in quanto scomoda portatrice di sventure per far prevalere le comode opinioni, che non ledono le zone di comfort e che realizzano delle relazioni unicamente incentrate su interessi comuni, su ideologie. Ma non può bypassarne la struttura archetipica. Ad eccezione delle verità scientificamente attestabili ed incontrovertibili, e delle evidenze fenomeniche, è quindi impossibile stabilire una linea di demarcazione che definisca dei concetti e delle realtà contenutisticamente vere o false. Quindi tutto ciò favorisce un libertinaggio secondo il quale tutto va bene, se fa comodo al soggetto che ne può cogliere delle proprie opportunità. Il benessere ha quindi una dimensione assolutamente soggettivistica, ed il motto è: "fare ciò che fa star bene, che diverte, che soddisfa". L'edonismo è l'archetipo della contemporanea concezione della verità. In ciò notiamo la grandissima cesura tra la nostra epoca e quelle precedenti. Ma la verità, a prescindere da quale contenuto possa avere, è una struttura inconscia che è strettissimamente legata alla sopravvivenza della specie e all'autoconservazione del singolo, è quindi biologica e strutturale, pertanto non può mai essere superata come forma di pensiero, ma soltanto riempita, come una tazza, di contenuti diversi, che si adegueranno pur sempre alla struttura della tazza. Quindi relazionarsi, con se stessi e con il prossimo, intende però sempre un'idea di espressione secondo verità, ma avviene secondo il paradosso del cretese Epimenide: "tutti i cretesi sono bugiardi". Perché equiparabili a questo paradosso? Perché in realtà le credenze che determinano le relazioni, quelle che non si vedono facilmente, ma che determinano il modo di pensare del soggetto, avvengono in chiave meccanicistica, che li rende inviolabili e incrollabili, purché non direttamente esposte al vaglio della ragione, ma celate, nella comunicazione, dall'ipocrisia e dal parlare assai raramente su un piano profondo. Riflettere oggi sulla verità, come sfida filosofica, vuol dire quindi rimettere in discussione le proprie credenze su ciò che maggiormente diamo per assodato, problematizzando l'ovvio, come direbbe Edmund Husserl. Il tutto non per giungere a nuove assolute forme di verità, ma per liberarci dal giogo manipolatorio delle verità inconsce che generano un approccio totalitarista all'esistenza, alle relazioni ed al Mondo. Quindi cambiare il modo in cui si recepiscono le informazioni e le si elabora, proprio perché le percezioni non possono a priori avere uno statuto di verità, ma sono illusorie e determinare le cause dei fenomeni psichici e naturali è fin troppo complesso per una trattazione secondo la reductio ad unum, al principium auctoritatis ed al principium individuationis che possono trovare spazio solo in un modo di pensare solipsistico. Natale Anastasi




























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